DOMENICA 11 DICEMBRE 2011 Ore 17.30 – Padre Gianfranco Priori Il Frate-Mago
(offerta libera per la sua missione)
Intervista a P. Gianfranco Priori, giullare e prestigiatore sulle piazze d’Italia e i villaggi del Wolaita. I giochi di prestigio da lui inventati. Il pubblico eterogeneo che incontra e che lo vuole prima Frate poi Mago.
Da circa vent’ anni P. Gianfranco Priori, in arte “Frate-Mago”, intrattiene grandi e piccoli in apprezzatissimi spettacoli di illusionismo, proprio come un prestigiatore di professione. “Questa capacità – dice – me la son ritrovata addosso naturalmente, e me ne servo per fare una pre-evangelizzazione, cioè come un mezzo efficacissimo per attirare la simpatia e l’attenzione degli spettatori, ai quali parlo poi di Vangelo e di Chiesa”. In vent’ anni di “professione” egli è entrato in teatri, club, sale parrocchiali, studi televisivi, scuole di ogni genere, ed è apparso sulle piazze di mezza Italia, divertendo migliaia di persone, incredule che un frate (P. Gianfranco si presenta sempre con il saio francescano) “osi” sfilare a una signora in impeccabile tailleur, un prezioso reggiseno, o riesca a fare altre “diavolerie”. A chi gli ha chiesto qualcosa di più su questa seconda vocazione, ha risposto così.
FAI FATICA AD INDOSSARE I VESTITI DI “FRATE MAGO” ?
No, nessuna fatica. Anzi debbo confessare che coniugare le parole “Frate e Mago”, anzi “Frate-Mago”, con una parola sola, è stato estremamente facile, perché posso dire che le due realtà sono nate quasi insieme. Infatti avevo appena indossato l’abito francescano che sentii nascermi dentro una passione fortissima per i giochi di prestigio. Ora tutti mi chiamano così, “Frate-Mago” perché in quattordici anni di attività artistica, non ho mai fatto uno spettacolo senza avere indosso la tonaca. Sono convinto che, se è vero che si parla al pubblico con l’arte, è ancor più vero che in Italia il saio cappuccino parla da solo, tanto sul pulpito per la predica che sul palco per il gioco. Quando salgo sul palcoscenico, si crea un silenzio rispettoso che accompagna la mia “performance” e che alla fine si cambia in ammirazione. Talvolta, soprattutto all’inizio di uno spettacolo per i bambini, chiedo con un pizzico di malizia: «Ragazzi, ditemi un po’: secondo VOI, io sono un frate o un mago ?». Dalle risposte che si accavallano “Frate, Mago, Mago Frate”, deduco che la maggioranza mi crede un mago travestito da frate. Ma al termine dello spettacolo sono tutti d’accordo: «Sei un vero frate e un autentico illusionista».
COME HAI SCOPERTO CHE QUEL VESTITO POTEVI INDOSSAR-LO ANCHE TU? DOVE ESERCITI LA TUA PROFESSIONE E PERCHÈ?
La passione per l’arte magica non è “nata” in me; ripeto che me la sono trovata addosso e penso che non mi lascerà più. Cominciò tutto quando avevo 23 anni. Un bel giorno mi accorsi che le mie mani, pur non essendo sottili e affilate come vogliono i canoni dell’ estetica, manovravano le carte da gioco con agilità, rapidità e destrezza. Chi mi guardava si stupiva e diceva: «Non è possibile: come fai?». A dir la verità non lo sapevo neppure io; ma sapevo che dovevo far di più e meglio per nascondere “il trucco” che c’era e che, purtroppo, si sarebbe potuto vedere. Dovevo riuscire a non farlo vedere. Così cercai di perfezionarmi leggendo riviste riguardanti la magia (rarissime ed irreperibili ai non addetti ai lavori) che potessero aiutarmi ad imparare. In realtà sono servite solo a farmi una cultura magica… I giochi, le manipolazioni, le “apparizioni” e le “sparizioni” di carte sono tutte farina del mio sacco. Farina macinata con lunghe ore di esercizio paziente e costante. All’inizio improvvisavo spettacoli spontaneamente, senza che mi fosse richiesto, quasi per una contro me stesso, e forse anche con una venatura di ostentazione e desiderio di provare e riprovare per imparare. Mi accorsi che gli “spettatori” erano tutti sorpresi e contenti, e soprattutto che il gioco non disdiceva al vestito che indossavo. Ora devo far fronte a moltissimi inviti che giungono da ogni parte d’Italia. Le prenotazioni vanno fatte con un anno di anticipo e vengono da ambienti in cui è certa la presenza di un pubblico nutrito e competente. Segno, questo, che la figura di “frate mago” piace alla gente.
DOVE ESERCITI LA TUA PROFESSIONE E PERCHE’?
In ambienti vari ed estremamente diversificati, anche se, direttamente o indirettamente, legati alla “missione popolare”, cioè alla predicazione che consente ai Cappuccini di continuare ad essere i “Frati del popolo”. Un lavoro duro e spesso avaro di soddisfazioni, perché la gente, pur avendo simpatia per il “frate”, non frequenta molto la chiesa e bisogna andarla a cercare in casa. Porta a porta.
Ebbene, il gioco abbatte il muro di separazione tra il mondo ed il clero e crea il clima adatto all’ascolto. Una carta che “sparisce” può far ritrovare qualcosa di importante che si era perso. In alcune “missioni al popolo” ho animato la “scechinà”, cioè la biblica tenda dell’incontro di Dio con l’uomo. Alzata in un luogo frequentato dai giovani, talvolta si affolla tanto da costituire un intoppo per la passeggiata serale. Altre volte l’invito a vedere “Frate mago” serve per riempire la sala in cui si parla di Vangelo. La curiosità è una campana che smuove tutti, a cominciare dai più duri. Quando mi affaccio nelle scuole i ragazzi vanno in visibilio e non c’è raccomandazione che valga a frenarne l’entusiasmo. A casa raccontano le “prodezze” del frate e trascinano i genitori in chiesa, almeno per vederlo: ma è chiaro che dopo si fermano tutti ad ascoltarlo. Ho sempre messo la mia arte a servizio della Chiesa. Anche adesso che ho ridotto la presenza nelle “missioni popolari”, sono chiamato ad animare serate di spettacolo di due ore nelle parrocchie in festa, dove sostituisco la classica “orchestra romagnola”. La festa, così, assume connotati più cristiani e diviene luogo di proposta di vita, momento per dire una buona parola e presenza dei “Frati del popolo” in mezzo alla gente con semplicità e umiltà.
CREDI CONCILIABILE QUESTO “MESTIERE” CON L’ABITO CHE PORTI?
Sì, anche se un paio di volte m’è accaduto di sentir dire: «Il frate faccia il frate». Io son convinto che, per la logica dell’incarnazione, il Vangelo passa sempre per il limite e la ricchezza dei doni dell’uomo. Se uno ha un buon carattere, se è musicista, se è intelligente, se sa cantare e ha una buona voce, se è dotto, se dipinge, se, insomma, ha doti umane, queste diventano strumento e veicoli di un messaggio che trascende i doni stessi. Aveva ragione P. Crescenzio Martarelli (a cui devo molto per la mia professione), frate di grande equilibrio e sapienza, quando, incoraggiandomi, mi ripeteva le parole d S. Paolo: «Omnia ad bona», cioè tutto concorre al bene. Anche San Giovanni Bosco, patrono di tutti i prestigiatori, metteva al servizio di Dio le sue capacità di saltimbanco. Per questo sono persuaso che il mazzo di carte, i cerchi, i fazzoletti, la “bacchetta magica”, l’uovo che esce dalla manica o dal cappuccio contribuiscano efficacemente alla “pre-evangelizzazione”, cioè predispone l’uomo all’ ascolto della Parola di Dio.
È VERO CHE HAI INVENTATO QUALCHE NUOVO GIOCO?
Ho detto più di una volta (ma non per vanagloria) che i giochi più belli sono quelli inventati da me. E, proprio perché “miei”, sono quelli che maggiormente creano “feeling” con il pubblico e fanno nascere spontaneamente l’applauso. Quando faccio conferenze ai prestigiatori professionisti di vari clubs, rimangono loro stessi meravigliati delle mie invenzioni, che non si trovano in nessun libro e nessuno ha mai fatto. Anche dopo la mia spiegazione rimangono insoddisfatti, perchè difficilmente possono ripeterlo. Sono iscritto al Club Magico Marchigiano con sede a Pesaro e al Club Magico Italiano con sede a Bologna, che annovera i migliori artisti in campo nazionale. Questo mi serve per imparare e per aggiornarmi.
QUALE PUBBLICO TI IMBARAZZA DI PIÙ?
È scritto in ogni libro per professionisti che il pubblico più difficile è quello dei bambini. È vero per coloro che concepiscono l’arte magica secondo i canoni classici: vestito, luci, atmosfera, trucchi complicatissimi, ecc … Ho visto professionisti affermati fare grandi cose, ma senza suscitare meraviglia e gusto del gioco nei bambini. Io, invece, mi trovo benissimo con loro perché li vedo interessatissimi al gioco che seguono a bocca aperta, ma con gli occhi indagatori, pronti ad approfittare di una mossa falsa (che però non c’è mai, perché un bravo “mago” ha mille modi per camuffare un eventuale errore) per “scoprire il trucco” e dire: “Io ho capito; io ho capito”. Un po’ di difficoltà l’ho trovata con la gente della nostra missione del Wolaita (Etiopia), dove sono stato un paio di volte e dove ho organizzato qualche spettacolo. Trattandosi di gente molto impreparata a questo tipo di gioco, e che vive in una costante paura del diavolo, scambiava il trucco per un intervento di questo spirito malefico e fuggiva terrorizzata, credendomi uno “shareccio” (stregone) bianco, più potente, forse, di quelli di casa propria. Ora, dopo anni di esperienza, mi trovo a mio agio con qualsiasi tipo di pubblico, compreso quello ecclesiastico, che non è facile agli entusiasmi e agli apprezzamenti.
QUAL È IL TUO DESIDERIO PIÙ SINCERO?
Vivere appieno il mio carisma di frate cappuccino e mettere sempre più anima nei giochi in modo che, incantando e “illudendo” la gente che mi segue e mi applaude, mandi dentro quel qualcosa significato della tonaca che indosso. Nel cassetto ho anche il sogno di uno spettacolo nel quale, all’interno di una apparizione di colombe, appaia la scritta “Pace e Bene”, che è sempre l’augurio con il quale apro e chiudo ogni mia uscita per il mondo.